Recentemente a Borgo Faxhall nella sede della Provincia si è tenuto un incontro per favorire l'integrazione dei cittadini immigrati. Questo il tema della discussione che ha visto come promotore dell'iniziatva l'assessore provinciale Pier Paolo Gallinie come protagonisti gli assessori alle politiche sociali dei comuni capodistretto: Giovanna Palladini (Piacenza, Marina Vercesi (Castelsangiovanni), Angelo Mussi (Fiorenzuola),alcuni funzionari e il direttore del Cedomis Massimo Magnaschi.
Si ètrattato di un primo momento di incontro e confronto sulle politiche a favore dell'integrazione ponendo come obiettivo l'ampliamento della rete territoriali contro le discriminazioni. Si è parlato anche del progetto del "Forum provinciale dell'immigrazione 2009"
e del progetto "Il volto femminile dell'immigrazione: ricerca - intervento sulle donne immigrate in provincia di Piacenza".
La nota dell'ufficio stampa della Provincia, come rierito dalla LIbertà, conclude affermando che il tutto si è svolto in un clima di collaborazione e di condivisione degli obiettivi e della metodologia da seguire nella programmazione.
Non resta che congratularsi con i protagonisti e in primo luogo col promotore dell'iniziativa acui vogliamo ricordare chetrovare accordo sugli obiettivi è relativamnte facile. Certo molto più facile che ottenere risultati concreti rispetto a tali obiettivi. Troppo forti sono le spinte contrarie e si può fare solo un augurio al neoassessore: essere un campione di slalom, per infilare - giuste - le porte ed evitare i numerosi paletti che si frappongono fra la definizione degli obiettivi e il traguardo.
Invito a leggere gli approfondimenti pubblicati sui blog e ne riporto integralmente uno che può essere interessante.
Welfare e Crisi(W-&-C)
Immigrazione, informazione e pregiudizi
Analizzando i dati dell’ISTAT abbiamo visto diversi fenomeni interessanti culminanti con l’osservazione che i cittadini stranieri che sono e saranno presenti in Italia sono prevalentemente in una classe di età che rende più favorevole il rapporto tra lavoratori e anziani. È chiaro dunque che gli stranieri con la loro esistenza influenzano le caratteristiche del welfare rendendo possibili azioni che richiedono risorse che lo solo strato giovane della popolazione può produrre. Si è detto molte volte e da più parti che l’Italia è una nazione che invecchia e che ciò comporta problemi di gestione dei servizi sociosanitari, ma è chiaro che le difficoltà che si incontrano non sussistono in senso assoluto, ovvero, non è che in Italia non si conoscono le tecniche sanitarie o socio assistenziali, anzi, in molte regioni è stato raggiunto un livello d’avanguardia. È bensì vero, invece, che mancano le risorse per intervenire al livello di numero e di qualità che si richiede, non si tratta semplicemente di mancanza di risorse economiche ma anche di personale adeguato per numero e formazione. Dunque, man mano che il tempo passa, abbiamo sempre più bisogno di attività assistenziali (perché gli anziani aumentano), ma abbiamo sempre meno risorse di finanza pubblica da impiegare (per il peggioramento del rapporto tra anziani e lavoratori), inoltre le professioni socio assistenziali non rappresentano una grande attrattiva per i giovani quindi o non si avvicinano a questo lavoro o lo fanno con scarsa soddisfazione con conseguenze negative sulla qualità della performance e sul turn over. Questa parte del discorso poggia solo su elementi qualitativi, non disponendo al momento di dati statistici appropriati. Attingendo semplicemente all’esperienza personale diretta o indiretta, è possibile riferire che il numero delle operatrici straniere extracomunitarie è in aumento e che nei corsi di formazione di prima formazione, di solito, circa la metà delle iscrizioni sono riferite a straniere. Se a questo si aggiunge l’enorme peso delle badanti si capisce bene che il personale straniero, regolare e non, rappresenta un supporto insostituibile del welfare italiano. Le irregolarità, di qualunque genere e per qualunque fine, non vanno difese, ma ciò che di buono viene realizzato anche attraverso il lavoro irregolare va invece difeso, eccome. Di conseguenza la regolarizzazione delle badanti è un’evidente necessità se non si vuole mantenere uno stato di illegalità forzosa o se, peggio, non si vuole sottrarre alle famiglie il servizio delle badanti stesse. Sarebbe una bella ironia! Perdere il servizio di cui ho bisogno, che sono disposto a pagare, che mi dovrebbe dare lo stato che invece non ha risorse sufficienti, risorse che aumenterebbero regolarizzando..! sembra un gioco di parole, ma se si riflette è la pura e semplice verità. I numeri sono altissimi anche se evidentemente è impossibile determinare con certezza il numero delle operatrici irregolari. In una stima dell’Università Bocconi si parla di un milione e centomila di cui 500 mila irregolari. La notizia la si può trovare commentata in diversi siti tra i quali quelle riportati in nota.
“Per prepararsi al nuovo scenario è indispensabile una mentalità più inclusiva e capace di guardare gli immigrati non come gli “altri”, i diversi, gli estranei (e, secondo alcuni, i devianti), bensì come nuovi cittadini, compagni di strada in grado di fornire un nuovo apporto al nostro sviluppo. Quanto sta avvenendo in Italia è stato in precedenza sperimentato da molti altri paesi europei e d’oltreoceano, in diversi dei quali gli italiani stessi sono stati immigrati. Come più volte ha sottolineato la Chiesa, l’immigrazione può apportare notevoli potenzialità allo sviluppo locale, ma richiede attenzione e accoglienza, in un quadro certo di diritti e di doveri”. Così si esprime la Caritas nell’introduzione del Dossier Immigrazione 2008
La ricercatrice dell’IRS di Milano,. Daniela Mesini apre un suo articolo ricordando che per fronteggiare i bisogni di cura degli anziani non autosufficienti un numero sempre più elevato di famiglie si rivolge al mercato privato assumendo direttamente una badante e sostenendone la spesa. Ricorda che le stime prima della sanatoria del 2002 si attestavano su percentuali molto alte di lavoro irregolare (addirittura oltre il 70% secondo Censis – 2002). Al di là delle stime e delle cifre esatte, comunque esisteva ed esiste un segmento consistente di operatrici (è noto che prevalentemente il fenomeno riguarda l’immigrazione femminile) e di datori di lavoro che hanno preferito non procedere a regolarizzazione. L’autrice sottolinea che, anche se “l’occupazione privata nell’ambito del lavoro di cura tenderà a crescere grazie al progressivo invecchiamento della popolazione, e ai ricorrenti tagli alla spesa pubblica, non è automatico che le regolarizzazioni in questo comparto sia direttamente proporzionale all’aumento degli occupati. Questo era vero nel 2005 e ancor più lo è oggi dopo tutte le politiche “anti” che sono state messe in atto. Il reato di immigrazione clandestina recentemente istituito all’interno del pacchetto sicurezza, anche se sono previste possibilità di regolarizzazione proprio per le badanti attualmente presenti, rappresenta un ulteriore elemento di disaffezione rispetto ad un inquadramento definitivo e regolare del lavoro di badante. La tolleranza che c’è stata fin’ora rispetto al fenomeno è ampiamente giustificabile se si pensa che la situazione di irregolarità favorisce enormemente i datori di lavoro che da un lato risparmiano i costi burocratici, le imposte e le ritenute e dall’altro hanno un arma vera e propria da usare verso l’immigrata per trattenerla in uno stato di assoluta dipendenza, per non dire di schiavitù.
Se già prima della sanatoria del 2002 si temeva che l’effetto non fosse del tutto garantito, in conseguenza di del modello migratorio che si è affermato in Italia caratterizzato da molta fluidità con frequenti avvicendamenti, figuriamoci adesso dopo le prese di posizione ufficiali rispetto a tutto il problema dell’immigrazione in qualche caso vista e interpretata come una minaccia per la sicurezza. Alla scarsa propensione a rimanere e stabilizzarsi per ragione del puro e semplice desiderio di ricongiungersi alla famiglia nei luoghi d’origine dopo un periodo di “lavoro forzato” si somma oggi un ulteriore ragione, evitare vessazioni burocratiche, imposizioni fiscali che possono, in una certa misura, comportare una riduzione del reddito e quindi un allontanamento dell’obiettivo, che continua ad essere prevalentemente quello di contribuire in modo determinante alla creazione del fondo necessario a costruirsi una casa in patria. La regolarizzazione verrà ancora in gran parte evitata con un allontanamento di quello che invece sarebbe il più interessante obiettivo di stabilizzazione dei rapporti e l’incremento della formazione professionale delle addette.
Sembra idea condivisibile che gli alti e bassi della politica e in genere dei responsabili dello sviluppo sociale in Italia ha finito per giustificare uno Stato che si sottrae ad alcune importanti responsabilità avendo ridotto drasticamente le potenzialità di investimento sul settore socio assistenziale. Se rendiamo la vita difficile alle badanti e alle famiglie dobbiamo pensare a nuovi programmi (a meno che valga l’opinione che siamo di fronte a un’enorme “bufala” per cui si parla di sicurezza per nascondere quella venatura xenofoba che al nord ha assunto una consistenza notevole e si parla di welfare di comunità per confondere la visione di uno Stato che per il benessere degli anziani non ha più niente da spendere). In realtà sarebbe urgente la creazione di un sistema più razionale dove l’assistenza domiciliare viene erogata attraverso una struttura per maggior garanzia sia degli immigrati che di coloro che hanno bisogno del servizio. Tutto dovrebbe passare attraverso le istituzioni, ma in modo leggero, assolutamente leggero per non compromettere il livello di costo e soprattutto per rispettare i principi di libertà organizzativa degli enti erogatori e dei privati. Dovrebbe essere intensificato il processo di formazione delle badanti che molti enti locali hanno avviato, ma per fare questo è necessaria una certa durata della permanenza altrimenti l’investimento formativo non assicura adeguato ritorno. Purtroppo sappiamo che il lavoro illegale, più o meno tollerato dallo Stato, continuerà anche perché la domanda, anche se presumibilmente in crescita, non ha caratteristiche strutturali tali da offrire sufficienti garanzie alle organizzazioni. Ogni famiglia che ha bisogno del servizio sa di avere un bisogno temporaneo che vuole risolvere nel modo meno traumatico possibile sia sotto il profilo affettivo sia sotto l’aspetto economico. Soldi da spendere ce ne sono pochi: all’interno di pensione e accompagnamento bisogna risolvere tutto con il minor disagio possibile per il familiare non autosufficiente.
Dunque un gran numero di badanti si è riversato in Italia in prevalenza dai paesi nati dalla dissoluzione dell’URSS con un pensiero in mente: guadagnare il denaro sufficiente per costruirsi una casa al rientro in patria che prima si può fare meglio è. Il livello di istruzione può anche essere medio/alto in quanto è economicamente meglio fare la badante in Italia che una professione più alta nel paese di origine. La loro condizione è stata definita un “servitù di passaggio” (A. Castagnaro – 2002) costituita sostanzialmente dall’inserimento di manodopera più o meno qualificata in regime di assoluta flessibilità con un certo vantaggio, da un lato, per il singolo o meglio la singola famiglia, ma certamente inidoneo, dall’altro, a creare relazioni stabili tra l’assistente familiare e un certo territorio o un’istituzione pubblica o privata. L’urgenza di soddisfare i propri bisogni ha escluso la costruzione di un progetto a medio/lungo termine adatto veramente alla situazione italiana. Si è guardato solo al problema di sistemare il proprio anziano in un modo ritenuto migliore del ricovero in RSA che, per la cultura tradizionale italiana ancora molto diffusa, è visto come un elemento umiliante e disonorevole e quindi da evitare.
Ora auspichiamo invece uno sviluppo di questa situazione con possibilità di fruire di servizi offerti da personale qualificato. Questo del resto è l’unico passo avanti che è possibile fare.
Rispetto a questi obiettivi il “pacchetto sicurezza” da poco approvato in Parlamento contiene diversi provvedimento che influiscono direttamente sull’immigrazione come le tasse per il permesso di soggiorno e l’inasprimento delle norme sull’espulsione degli immigrati che hanno perso il lavoro. Alla fine queste norme servono a scoraggiare l’immigrazione e rendono difficile e più costosa la vita agli stranieri. Niente da dire in termini politici: è evidente che con questo si è risposto a un sentimento diffuso di paure legate alla possibilità che gli stranieri ci tolgano il lavoro o che vengano per compiere atti penalmente illeciti. In questo modo si legittima la convinzione che l’immigrazione sia un fatto negativo. Così Paolo Giordani e Michele Ruta in un recente articolo pubblicato sulla rivista on line “La voce” “ Una politica restrittiva in tema di immigrazione, come quella adottata dal nostro governo, certamente riduce il numero dei lavoratori stranieri presenti in un paese, ma ha anche l'effetto involontario di allontanare di più gli immigrati qualificati rispetto a quelli meno qualificati. Si resta così intrappolati in una spirale di forti restrizioni e "cattiva" immigrazione. E di pregiudizi che si autoalimentano. Per l'Italia, la soluzione non è inasprire indiscriminatamente le norme sull'immigrazione, ma ripensarle coerentemente con le necessità del paese.
Gli autori nello stesso articolo svolgono una tesi interessante sul rischio di circolo vizioso dei pregiudizi. I pregiudizi determinano paure a volte infondate ma influenzano le scelte politiche perché i politici devono soddisfare i desideri espressi dal popolo che li vota. Le scelte che ne derivano creano difficoltà agli immigrati e ciò porta ad un peggioramento della composizione dell’immigrazione con diverse conseguenze anche non desiderate che determinano una riduzione del benessere generale.
Se la situazione è questa la conclusione può essere una sola: agire selezionando attentamente e confermando le posizioni attualmente attive e positive. Tra queste di sicuro le badanti che fanno molto per il benessere degli anziani e delle famiglie. Forse ci sarà anche qualche operatrice che usa la professione come copertura di altro, ma se si considera che tipo di lavoro è la badante è difficile immaginare che siano tutte o in prevalenza dedite segretamente ad altre attività illecite e penalmente rilevanti. Non si può considerare opportuna una scelta che porta ad un inasprimento indiscriminato delle misure sull’immigrazione. Si vedrebbe invece con favore un atteggiamento rigoroso ma al tempo stesso di favore verso quei cittadini stranieri che sono interessati a quelle professioni di cui abbiamo bisogno e nel nostro campo è chiaro che di bisogno ce n'è
venerdì 14 agosto 2009
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