martedì 8 settembre 2009

Un commento all'articolo sulla carenza di posti nelle strutture per anziani

Ospizi, trecento in coda
per avere un posto letto


L'emergenza sui non autosufficienti e le risposte del Comune:
verrà esteso l'incentivo-badanti per pagarne i contributi.

Questo il titolo e il sommario apparso su "Libertà" del 4 settembre.

Commentando l’articolo a firma Soffientini Patrizia complimenti alla giornalista che mette in evidenza un problema vero e grave ma “zero” a colui che ha fatto il titolo. Basta parlare di ospizio, è una parola da dimenticare!
L’ospizio era quel luogo dove si scaricavano i problemi dei vecchi; il posto dove chi non aveva nessuno o che aveva famigliari con poche o pochissime risorse andava a morire in un ambiente pieno di puzza, in cameroni di 12 letti con un bagno in fondo al corridoio, con un infermiere ogni 50 ospiti, pulizie sommarie e cucina adeguata alla classe dell’ospizio.
Da più di trent’anni si chiamano case protette o RSA secondo una definizione prevista dalla normativa nazionale. Anche i nomi hanno la loro importanza. L’ospizio era quella cosa che ho descritto sopra e che non deve più tornare, quel posto che nascondeva al mondo le sofferenze dei vecchi, tolti dalla vista perché disturbavano la serenità dei sani.
Anche i nomi hanno la loro importanza: se continuiamo a parlare di ospizi va a finire che qualcuno ce li ripropone.. già perché è evidente che gestire un ospizio costa meno che gestire una RSA!
Dall’articolo si capisce ciò che del resto a chi conosce l’ambiente era chiaro da un pezzo e cioè che le risorse della Regione e del Comune non bastano a fronteggiare la domanda e quindi si va dritti verso la soluzione a pagamento creando quello che esiste in tutti i mercati: la segmentazione del prodotto per vari livelli di qualità. Non è di per sé una bestemmia (anche se viene messa in crisi l’universalità del diritto -L. 328/2000- come lo Stato avrebbe voluto in tempi forse economicamente migliori)purché tutta l’offerta garantisca i requisiti minimi. Questo è il compito delle istituzioni: accertare che tutti gli enti che producono servizi alle persone anziane abbiano i requisiti minimi di qualità.
L’autorizzazione al funzionamento ha questa funzione e gli enti preposti, cioè il Comune tramite l’Azienda Sanitaria, devono impostare un sistema di controllo meno burocratico e più attento agli elementi di qualità di sostanza. Superfici minime e numero minimo di operatori sono elementi importanti ma non deve essere trascurata la qualità della formazione. Meglio qualche metro quadro in meno per ogni ospite che operatori poco formati e con turn over elevato.
Se si continua ad alzare il livello di qualità formale si continua ad aumentare i costi con riduzione del numero delle persone che possono essere soddisfatte. Si deve si segmentare il prodotto in base però all’intensità del servizio richiesto e trovare un modo corretto per commisurare il prezzo alle caratteristiche.
Se le risorse sono scarse non possiamo aumentare la qualità e ridurre il numero degli anziani soddisfatti, dobbiamo garantire una qualità sufficiente a tutti e l’eccellenza, spiace doverlo ammettere, può andare a pagamento. Se non si farà così con una cosapevole determinazione istituzionale si farà così ugualmente nell’ignoranza o nella tolleranza istituzionale con amplificazione di un fenomeno che già in parte esiste. L’eccellenza fuori dal sistema pubblico, per i pochi che possono permettersela, l’alta qualità offerta dall’accreditamento pubblico ancora per pochi fortunati e per tutti gli altri -tanti- il disagio. O qualità incerta di un sistema domiciliare fai da te con badanti comunque care per quello che sanno fare, o qualità incerta di una casa di riposo non accreditata che basa la sua legittimazione su un’autorizzazione al funzionamento troppo burocratica perché possa garantire alcunché.

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