Nella foto:
una seduta del Consiglio Provinciale di Piacenza
Questo è il titolo con cui è stato sintetizzato il messaggio lanciato dai Presidenti delle Province con la firma dell’atto costitutivo della “Fondazione delle Province del Nord Ovest” cioè quelle appartenenti alla Lombardia, Piemonte, Liguria oltre a Piacenza e Parma dell’Emilia-Romagna. Dunque è stata portata a termine un’azione di carattere associativo per valorizzare l’importanza delle Province in un momento in cui è stato sollevato con rinnovato vigore il proposito, ormai un po’ consunto per vero, di abolire le Province.
Un po’ ironicamente potremmo dire che è vero: le province sono insostituibili, infatti nessuno le vuole sostituire, semmai molti le vorrebbero vedere morte! Perché si dovrebbero sostituire? Si sostituisce chi fa qualcosa!
Con queste premesse è interessante analizzare il problema.
Secondo quanto calcolato recentemente da certi organi di stampa, sappiamo che le Province hanno un costo annuo di 16 miliardi di euro. Eliminandole si potrebbero fare un sacco di cose come ad esempio detassare integralmente le tredicesime del 2008 e del 2009, oppure abbassare del 60% l’IRAP, oppure addirittura, se mai ne valesse la pena, costruire 4 ponti sullo stretto! Questa non è credibile. Se l’affermazione è basata sui costi previsti dai progetti, possiamo essere certi che al massimo di ponti se ne farebbe uno o forse neanche. Mai come in questo caso tra il dire e il fare c’è in mezzo il mare! Un mare popolato da squali poderosi che chissà quante volte si avventerebbero sui piloni del ponte..!
A parte il ponte sullo stretto, utilizzare il risparmio dell’eliminazione delle Province per diminuire la pressione fiscale sarebbe una cosa interessante. Ma come si potrà mai decidere di compiere una simile mutilazione a un importante elemento del patrimonio politico italiano? Non si deve dimenticare che a fianco delle motivazioni economiche esiste un’importanti questione democratica. Le Province rappresentano i cittadini di un determinato territorio e svolgono funzioni pubbliche in rappresentanza di questi e dei loro interessi.
Nell’area sociosanitaria, ad esempio svolgono funzioni di programmazione e coordinamento circa la formazione professionale e la pianificazione territoriale dei servizi. Questo per dire delle più importanti.
Ora si deve riflettere su un semplice dilemma se sia più logico ridurre il costo eliminando il centro di spesa oppure renderne più efficace l’attività ottimizzando la spesa. Il risparmio di spesa pubblica sarebbe comunque incerto perché molte spese verrebbero trasferite ad altri enti e a fronte di spese uguali come quelle del personale si potrebbero sviluppare dei costi indiretti del cambiamento come ad esempio una diminuzione di produttività a seguito di ricollocazioni magari non del tutto consone con conseguente spaesamento degli operatori. Altro punto importante sono i tempi di trasformazione, necessariamente lunghi e pieni di attività di concertazione e mediazione e quindi con dei costi elevati di processo. Dunque un risparmio ipotetico, non immediato, che genera costi per soddisfare le esigenze di democrazia del processo.
Anche modificare le competenze e rendere maggiormente responsabile l’ente Provincia comporta costi di processo, ma l’esito a cui si perverrebbe di maggior efficacia della sua azione nel garantirne le vita e lo sviluppo assicura anche una interpretazione consona ai bisogni dei territori dell’applicazione delle direttive regionali e una applicazione capace di superare le divisioni campanilistiche dei comuni.
Un’attenzione alla democraticità delle scelte non guasta. Quelli che pensano di abolire le province non mettono sulla bilancia come contrappeso anche l’abolizione delle Prefetture perché un organismo locale del Ministero dell’Interno evidentemente ha una funzione utile all’attività del Governo. Il fatto è assolutamente comprensibile e anche condivisibile, ma allora sembra migliore un’osservazione del problema Province meno miope e meno afflitta dal presupposto qualunquistico che i partiti di ogni settore politico vedano nell’eliminazione di questo ente la perdita di un “poltronificio”.
L’esistenza delle poltrone non è in sé un problema, il difetto risiede negli scopi per cui vengono mantenute e nelle persone che vi vengono poste. Se si deve fare una cura a lungo termine meglio incidere direttamente sul difetto e uno dei modi è quello di dare competenze accompagnate da responsabilità precise. Ad esempio, tanto per avviare una riflessione, nel settore socio sanitario si potrebbe dare alla Provincia una responsabilità diretta sulla programmazione territoriale dei servizi non delle semplici raccolte di dati come adesso. Analogamente non solo compiti burocratici e astratti, ma attività di controllo di qualità dei servizi effettuate con organismi tecnici propri distinti da quelli delle Aziende Sanitarie Locali.
Si vuole che le Province rappresentino i cittadini dei territori? Allora, in ogni settore e per quel che più ci interessa in quello sociosanitario, devono avere almeno un compito esclusivo da svolgere in piena autonomia. Potrebbe per esempio diventare l’unico e forte organo di programmazione e controllo del territorio con alcune importanti conseguenze quali la coperture di quell’inevitabile deficit di democrazia che c’è nel gestire le risorse attraverso organi burocratici (Le Direzioni ASL) e il superamento di quei particolarismi territoriali ancora in larga misura presenti sotto i campanili.
Un po’ ironicamente potremmo dire che è vero: le province sono insostituibili, infatti nessuno le vuole sostituire, semmai molti le vorrebbero vedere morte! Perché si dovrebbero sostituire? Si sostituisce chi fa qualcosa!
Con queste premesse è interessante analizzare il problema.
Secondo quanto calcolato recentemente da certi organi di stampa, sappiamo che le Province hanno un costo annuo di 16 miliardi di euro. Eliminandole si potrebbero fare un sacco di cose come ad esempio detassare integralmente le tredicesime del 2008 e del 2009, oppure abbassare del 60% l’IRAP, oppure addirittura, se mai ne valesse la pena, costruire 4 ponti sullo stretto! Questa non è credibile. Se l’affermazione è basata sui costi previsti dai progetti, possiamo essere certi che al massimo di ponti se ne farebbe uno o forse neanche. Mai come in questo caso tra il dire e il fare c’è in mezzo il mare! Un mare popolato da squali poderosi che chissà quante volte si avventerebbero sui piloni del ponte..!
A parte il ponte sullo stretto, utilizzare il risparmio dell’eliminazione delle Province per diminuire la pressione fiscale sarebbe una cosa interessante. Ma come si potrà mai decidere di compiere una simile mutilazione a un importante elemento del patrimonio politico italiano? Non si deve dimenticare che a fianco delle motivazioni economiche esiste un’importanti questione democratica. Le Province rappresentano i cittadini di un determinato territorio e svolgono funzioni pubbliche in rappresentanza di questi e dei loro interessi.
Nell’area sociosanitaria, ad esempio svolgono funzioni di programmazione e coordinamento circa la formazione professionale e la pianificazione territoriale dei servizi. Questo per dire delle più importanti.
Ora si deve riflettere su un semplice dilemma se sia più logico ridurre il costo eliminando il centro di spesa oppure renderne più efficace l’attività ottimizzando la spesa. Il risparmio di spesa pubblica sarebbe comunque incerto perché molte spese verrebbero trasferite ad altri enti e a fronte di spese uguali come quelle del personale si potrebbero sviluppare dei costi indiretti del cambiamento come ad esempio una diminuzione di produttività a seguito di ricollocazioni magari non del tutto consone con conseguente spaesamento degli operatori. Altro punto importante sono i tempi di trasformazione, necessariamente lunghi e pieni di attività di concertazione e mediazione e quindi con dei costi elevati di processo. Dunque un risparmio ipotetico, non immediato, che genera costi per soddisfare le esigenze di democrazia del processo.
Anche modificare le competenze e rendere maggiormente responsabile l’ente Provincia comporta costi di processo, ma l’esito a cui si perverrebbe di maggior efficacia della sua azione nel garantirne le vita e lo sviluppo assicura anche una interpretazione consona ai bisogni dei territori dell’applicazione delle direttive regionali e una applicazione capace di superare le divisioni campanilistiche dei comuni.
Un’attenzione alla democraticità delle scelte non guasta. Quelli che pensano di abolire le province non mettono sulla bilancia come contrappeso anche l’abolizione delle Prefetture perché un organismo locale del Ministero dell’Interno evidentemente ha una funzione utile all’attività del Governo. Il fatto è assolutamente comprensibile e anche condivisibile, ma allora sembra migliore un’osservazione del problema Province meno miope e meno afflitta dal presupposto qualunquistico che i partiti di ogni settore politico vedano nell’eliminazione di questo ente la perdita di un “poltronificio”.
L’esistenza delle poltrone non è in sé un problema, il difetto risiede negli scopi per cui vengono mantenute e nelle persone che vi vengono poste. Se si deve fare una cura a lungo termine meglio incidere direttamente sul difetto e uno dei modi è quello di dare competenze accompagnate da responsabilità precise. Ad esempio, tanto per avviare una riflessione, nel settore socio sanitario si potrebbe dare alla Provincia una responsabilità diretta sulla programmazione territoriale dei servizi non delle semplici raccolte di dati come adesso. Analogamente non solo compiti burocratici e astratti, ma attività di controllo di qualità dei servizi effettuate con organismi tecnici propri distinti da quelli delle Aziende Sanitarie Locali.
Si vuole che le Province rappresentino i cittadini dei territori? Allora, in ogni settore e per quel che più ci interessa in quello sociosanitario, devono avere almeno un compito esclusivo da svolgere in piena autonomia. Potrebbe per esempio diventare l’unico e forte organo di programmazione e controllo del territorio con alcune importanti conseguenze quali la coperture di quell’inevitabile deficit di democrazia che c’è nel gestire le risorse attraverso organi burocratici (Le Direzioni ASL) e il superamento di quei particolarismi territoriali ancora in larga misura presenti sotto i campanili.
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