domenica 29 novembre 2009

Parliamo di associazionismo

Nei principi generali della legge 328/2000 “"Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali" si enuncia, al comma 4 dell’art. 1,il principio che “ Gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell'ambito delle rispettive competenze, riconoscono e agevolano il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. I successivi due commi confermano e rafforzano il concetto.
È chiaro che questa legge importante, da cui dipende gran parte dell’evoluzione in atto del sistema di welfare, ha posto un grande rilievo sull’associazionismo affermandone l’obbligo di riconoscimento da parte degli enti pubblici. Ma come sempre non basta affermare i principi che, in mancanza di altre azioni, possono rimanere lettera morta.
Con tutti i problemi che hanno di fronte è chiaro che gli enti pubblici non è probabile che si impegnino particolarmente a valorizzare chi – spiace dirlo – spesso non riesce da solo a creare un elemento di attenzione intorno a sé. Si, la legge dice che le associazioni devono essere valorizzate ma come può avvenire un tale fenomeno se manca un soggetto di collegamento tra gli enti? Come si può valorizzare chi non è organizzato? A questo punto molti potrebbero insorgere facendo notare che questa o quest’altra associazione sono ben organizzate, ma non sarebbe difficile dimostrare immediatamente che semmai si tratta di organizzazione interna, egocentrica e autoreferenziale.
Le poche esperienze che mi è capitato di fare con le associazioni locali mi hanno dimostrato che la spinta più forte non è certo l’apertura a nuove forme di visibilità collettiva, ma semmai di propaganda dell’immagine per conseguire vantaggi per il proprio particolare. È umano e non mi sento di infierire, ma è indispensabile prendere in considerazione nuovi metodi e nuove strade.
Rivolgendomi a tutte le associazioni e in particolare a quelle che operano nel territorio piacentino ritengo utile proporre una riflessione sull’opportunità di impegnarsi per la costituzione di un forum del terzo settore provinciale. La proposta può essere utilmente estesa a tutte le province in cui non si è ancora fatta una tale iniziativa. A tale proposito è utile considerare che solo dove le associazioni si sono date un’organizzazione aggregativa sono state ascoltate ad esempio nella predisposizione dei Piani di Zona. Si veda in merito la ricerca sulla partecipazione locale curata dall’IRESS e riguardante in particolare “Il rapporto tra gli Enti Locali e Terzo settore: modelli di governance e programmazione territoriale” sui Piani di Zona in Emilia Romagna.
È possibile scaricare la ricerca al link http://www.terzosettoreemiliaromagna.it/AreaDati/download/118ModelliGovernance.pdf

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