martedì 11 novembre 2008
Dibattito sul welfare locale
Ci sono tre notizie, a cui il quotidiano Libertà di Piacenza ha dato opportuno risalto, che invitano a una riflessione.La prima è la denuncia dell’aumento della lista d’attesa per entrare in casa protetta più che raddoppiata rispetto allo scorso anno che Luigi Rabuffi, presidente della Casa Protetta Vittorio Emanuele, presenta con forza e con evidente passione. Mette in evidenza la mancanza di risposta e sottolinea che gli anziani in attesa sono curati a domicilio dai famigliari e dalle badanti. “Non c’è niente di male” dice “ ma se fanno domanda per avere un posto in casa protetta significa che la ritengono una soluzione migliore e sarebbero più soddisfatti se quel posto ce l’avessero”. Lo stesso Rabuffi ricorda che le case protette di Piacenza non soddisfano la richiesta costringendo ad adottare la soluzione domiciliare che però non sempre è percorribile e spesso non è agevole né opportuna né per l’anziano né per la famiglia.La seconda notizia riferita da “Libertà” riguarda un intervento di Giovanna Palladini, assessore ai servizi sociali del comune di Piacenza, il titolo: “La via da promuovere è la cura dentro la famiglia”. I dati riportati dalla Palladini parlano del trend demografico e della pressione sociale derivante dalla presenza sempre più numerosa di grandi anziani. 1.070.000 euro è quanto il comune di Piacenza versa alle case protette a copertura di rette di anziani non autosufficienti privi dei mezzi necessari assorbendo l’80% delle risorse del fondo per la non autosufficienza. L’assessore alla fine dice chiaramente che la via che si promuove, anche in armonia con le indicazioni della Regione Emilia Romagna, è quella della domiciliarità, vale a dire del mantenimento dell'anziano non autosufficiente in famiglia. Tra pareti domestiche e nell'affetto dei propri cari. C’è l’assegno di cura:circa 400 famiglie godono di un assegno staccato dal Comune su fondi regionali.La terza notizia offre la chiave interpretativa del fenomeno.La Conferenza sanitaria ha esaminato l’atto di programmazione dell’AUSL su cui si andrà presto al voto. Si sottolinea che “in Sanità non basta elencare i bisogni, servono soldi” Dopo la presa di posizione del sindaco Roberto Reggi, durante la recente Conferenza provinciale del welfare altri sindaci mettono il dito nella piaga.Non è sufficiente redigere un piano dei bisogni del nostro territorio. Questo atto di programmazione deve essere corredato da un piano di sostenibilità economica: “non possiamo nasconderci che avremo a disposizione ancora meno risorse di quanto ipotizzavamo qualche tempo fa”. Ciò è quanto i sin dacvi dicono in provincia di Piacenza. “Dobbiamo confrontarci con le risorse: il documento triennale è indubbiamente molto ben fatto, è capillare, preciso, stilato da persone che conoscono il territorio. Ma come tutti i documenti programmatici, deve essere accompagnato da un piano di sostenibilità economica che tenga conto delle risorse disponibili a tutti i livelli: Stato, Regione, Provincia, distretti, Comuni. Non possiamo negare che stiamo attraversando un momento difficile, e che le disponibilità degli enti locali sono sempre più limitate”. Fin qui la cronaca.La riflessione.Non è solo a Piacenza, così va dappertutto in Italia. La risorse sono finite a tutti i livelli ma nessuno lo vuole ammettere. Nessuno crede di esserne responsabile e tutti si affrettano a dire che bosogna garantire il finanziamento dei servizi chiedendo soldi allo stato, alle regioni..ecc.. Ma bisogna proprio dirlo: siamo stufi di sentirli questi politici, che non hanno mai colpe che spostano le responsabilità a dritta e a manca basta salvare la faccia. Il domiciliare è diventato il luogo dove si rispettano gli anziani perché stanno a casa. Certo, è vero, ma è anche vero che a casa la badante e tutto il resto lo paga la famiglia! Qualcuna sa esattamente cosa costa? e qualcuno si è mai domandato che razza di servizio fa una badante? che formazione ha ricevuto e di quale professionalità è dotata?È ora di un po’ di onestà non è colpa dei cittadini se il rapporto tra anziani e lavoratori è sempre meno favorevole, non è colpa di nessuno, ma il singolo cittadino ha bisogno di risposte e la politica le deve dare. Il Ministro Sacconi ha pubblicato il “Libro Verde”dove dice le stesse cose, ma siccome non ha altri organismi al di sopra non può dire che le risorse gli devono essere date e così propone “La vita buona nella società attiva”.È arrivata l’idea nuova: se volete satar bene… lavorate! Lavorate e abbiate fiducia in voi stessi. Certo questo ci resta aver fiducia in noi stessi. Questa è la parte onesta del messaggio, in fondo basta un piccolo sforzo di interpretazione e si capisce bene che il welfare del futuro sarà un welfare “fai da te”. Tu, lavora, pagati l’assicurazione, pagati la badante, pagati alcune cure, pagati.. pagati ecc ecc .Ok siamo arrivatio alla fine e il ministro lo ammette. Fa come dicevano i nostri vecchi ai figli e nupoti che chiedevano cosa avrebbero avuto in eredità, rispondevano con un po’ di bonatria contadina ironia… “Caro, io non ho niente: ti lascio da vivere… fin che campi!”Ma non siamo disfattisti. Se il messaggio è questo non faremo come troppe volte ho vista fare dai sindacati che non potendo perdere la faccia (e gli iscritti che garantiscono i distacchi sindacali), quando sentono certe cose non ascoltano. Di fronte all’affermazione che non ci sono soldi di solito vengono avanzate richieste di miglioramento economico e i politici magari fanno anche finta di accontentarli. Certo, si sa, a loro brucia non poter soddusafare le brame di chi ha portato voti!Bravi, bravi davvero!Anche noi vogliamo dare soddisfazione e soldi ai lavoratori, anche noi vogliamo operatori soddisfatti!E chi lavora bene se non è soddisfatto?Anche noi chiediamo più attenzione verso gli operatori di base, verso gfli impiegati, le assitenti sociali, le infermiere, i medici, i direttori… tutti, tutti devo essere soddisafatti del loro lavoro e della looro retribuzione.Prima di tutto però dobbiamo render soddisfacente il lavoro: dobbiamo ascoltare sintetizzare decidere. Dare il giusto (e non mi si dica che il giusto non c’è perché è un giudizio soggettivo!) sappiamo che il giusto semplice, quello che tutti capisco, c’è eccome!Che i soldi sono finiti l’abbiamo capito. E allora smettiamola di fare norme che stabiliscono standard di servizio basate solo su risorse materiali. Accontentiamoci di un livello numerico inferiore, facciamo una miglior retribuzione individuale e premiamo la disponibilità accompagnandola con un formidabile impegno di formazione.Rivolgiamoci ai giovani!. Cerchiamo risorse nuove, andiamo nelle scuole a dire che è unitile inseguire una laurea triennale in qualche nuova scienza inconsistente che alla fine creerà dei baristi impreparati o dei commessi di supermercato inappagati!.Invitiamoli a fare un corso da oss e andare a lavorare sapendo che questo è un lavoro importante, non da importare! O almeno non da importare interamente.E smettiamola di credere che le aziende pubblche posano sostenere lo scontro con questa realtà.In Emilia Romagna in applicazione della legge 328 del 2000 si è deciso di effettuare il riordino delle IPAB promuovendo – leggi: rendendo obbligatorie - le ASP: Aziende Pubbliche di Servizio alla persona, e la Regione ha avuto la faccia tosta di affermare che l’ASP deve lavorare in proprio, deve essere un produttore di servizi con suoi dipendenti e una sua organizzazione produttiva, sennò che azienda è? Già, però non le ha dato una fisionomia da azienda agile e flessibile. Ha creato una struttura ancor più complessa dell’IPAB ( Questo a molti non sembrava possibile, ma non c’è limite alla fantasia istituzionale..!)Sappiamo benissimo che non è semplice modificare il retaggio del pubblico che è assolutamente negativo. Tutte le volte che, ai giorni nostri o in passato, si è occupato di produzione (Vedi Alitalia, Ferrovie, Alfa Romeo, per citare esempi eclatanti.) ha portato l’azienda alla crisi.Nel nostro caso, poi, con il peso contrattuale e fiscale del tutto imparagonabile a quello delle coop come volete che sia possibile sopravvivere con un’azienda pubblica più di qualche anno? Presidenti e direttori di nomina pubblica, al di là delle loro caratteristiche personali che potrebbero anche essere idonee, lavorano con la libertà condizionata dagli equilibri della classe politica di un’intera città o di un’ampia zona di provincia. E gli equilibri politici, anche se c’è la “rivoluzione di Brunetta” sono sempre prioritari.Non è che il manager pubblico non sa fare il suo mestiere è che è un mestiere diverso dal manager!!Un’assemblea, un Consiglio, un Presidente, un Direttore e poi?E poi facciamo gli appalti di interi servizi! Ma chi ce la fa fare di sbagliare del tutto e magari dopo dover ripianare i debiti di un’azienda quando si può farla gestire probabilamente con reciproca soddisfazione da altri?Pensate: se le cose non vanno si può cambiare l’interlocutore e comunque, in una certa misura, le lamentele vengono dirottate sul fornitore mentre la politica locale può tenersi la parte interessante dell’azienda: la Direzione, la Presidenza e tanti atri bei posticini…Sinceramente, spero di sbagliarmi!
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