“Le scelte di welfare”
Caro Massimo,
mi rivolgo a te con questo tono confidenziale per assicurare al messaggio la più grande semplicità escludendo ogni formalismo.
Come introduzione voglio sostenere che tutte le scelte politiche che comportano spesa sono scelte di welfare perché, direttamente o indirettamente, rappresentano un costo attribuibile ad attività riferite al benessere delle persone o ad esse negato. Lo Stato, e con esso tutti gli enti locali, non avendo le forze finanziarie per garantire tutto a tutti devono fare delle scelte. Sono indispensabili le spese per pensioni e sanità, sono altrettanto indispensabili le spese a favore dei giovani come quelle per istruzione e formazione, ma sono anche indispensabili le spese di investimento per creare le infrastrutture utili ai settori produttivi e così via. Si potrebbero fare infiniti esempi e tutti alla fine dimostrerebbero l’assunto iniziale: tutte le scelte che comportano spese influiscono in qualche modo sul welfare.
Il welfare-state è stato riconvertito in welfare locale definendo un nuovo criterio di responsabilità e creando una nuova cosiddetta governance del sistema. Con tale nuova governance si ha una più chiara definizione delle responsabilità, un diverso modo di agire e la possibilità di far valere, più da vicino, i propri punti di vista. Ma a nessuno sfugge che, a parte qualche miglioramento per una maggior efficacia decisionale, poco o nulla è cambiato quanto a disponibilità di risorse e al massimo, agli occhi della gente, cambia la figura del responsabile.
Ci sono dei gradini di importanza nelle amministrazioni dallo Stato al Comune passando per Regione e Provincia. Ma ci sono anche le diverse motivazioni politiche di spesa e sappiamo che non tutte influiscono positivamente sul welfare. Lo Stato è lontano, prendersela con lo Stato è inefficace, serve solo da sfogo (piove, Governo ladro!); contano molto di più la amministrazioni locali a partire dalla Regione che , a sua volta però, è abbastanza lontana dai cittadini perché fa programmazione strategica e stabilisce norme di comportamento e di controllo a carattere generale, quindi non direttamente influenti sulla vita dei singoli.
C’è un altro principio a cui secondo me dobbiamo riferirci: sulla ripartizione percentuale delle spese per i vari filoni di attività pubblica, se non vogliamo mettere in crisi il concetto stesso di democrazia, dobbiamo accettare che le scelte fatte dalla politica rappresentano il miglior compromesso possibile. Gli uomini politici decidono le spese con l’obiettivo di far felici il maggior numero possibile di elettori quindi le scelte sono mediamente giuste e tendenzialmente non inique. Il meccanismo del consenso e del voto rappresentano o dovrebbero dare questa garanzia. Quando non siamo d’accordo con chi ha amministrato possiamo e dobbiamo votare diversamente!
Con questi presupposti si arriva a comprendere che le risorse mancano davvero. Qui non è che le hanno dirottate, forse in piccola misura si, ma nella sostanza è proprio vero che le risorse non bastano. Capisco che è difficile ammetterlo, ma forse è meglio decidersi e dirlo. Se dunque le risorse sono finite non nel senso matematico che sono di entità definita, ma nel senso corrente del termine: sono finite, sono finite già da un po’ anche se molti hanno fatto in modo che non ce ne accorgessimo!
Be’, ma allora come se ne esce? Come potremo continuare a garantire agli strati più deboli, come anziano e disabili, i servizi necessari? Quel che sarà possibile, oltre che pagando di tasca, mi sembra chiaro è un miglioramento della performance dell’amministrazione pubblica locale. La politica locale deve garantire il miglior servizio con equità distributiva e con appropriata formazione al personale. Come può il servizio crescere senza aumentare il costo del personale se non migliorando le caratteristiche professionali del personale? Il personale non deve lavorare di più, ma deve lavorare meglio; quindi solo la formazione garantisce una via d’uscita.
Le nuove norme sull’accreditamento in Emilia Romagna, ad esempio, pongono la Provincia al centro di grandi responsabilità di coordinamento e di composizione di un organismo tecnico, mentre per la formazione era già al centro della responsabilità in precedenza.
Ecco dunque chi, a parte il comune, ha qualche carta da giocare per il futuro:la Provincia! La Provincia di Piacenza oggi ha delle potenzialità infinite: siamo all'inizio della legislastura, ci sono movimenti di pensiero notevoli e una crisi in atto che ha spaesato i cittadini. Questo è i,l momento di un'azione innovativa. Rompere gli schemio di una polica vecchia che corre sul binario morto di antiche illusioni di un welfar assoluto e universale. oggi si parla di universalismo selettivo, mi sembra giusto, è i concewtto nuovo che bisogna però riempire di contenuti pratici. ma è lecito domandarsi: come si può fare dell'innovazione se siamo governati da una legislazione confusa e ampia ma molto pervasiva? bene, credo che si debba interpretare la norma conla più ampia discrzionalità; senza remore, senza timore di ritorsioni politche o di esclusione dal consesso deio "giusti" cioè ligi al dettato normativo. Spetta ai giovani uomini della politica locale questo compito e quindi anche a te Massimo!
Smettiamola di dire che le province sono inutili, (tanto non saranno mai soppresse!) e diciamo invece ai Presidenti, e quindi anche a te, che li aspettiamo al varco, che devono farci vedere cosa possono e sanno fare nei settori in cui sono stati investite di responsabilità nuove e strategiche!!!
Con cordialità
Renato Dapero
venerdì 17 luglio 2009
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